9 ottobre 1963. Era un mercoledì di coppa, quella sera giocavano Real Madrid e Glasgow Rangers. Una bella partita. E anche a Longarone, piccola cittadina in provincia di Belluno, Veneto, i bar erano gremiti di persone davanti alle poche tv disponibili dell’epoca. Una serata piacevole e tranquilla… fino alle ore 22:39.
Sopra quel paese, a pochi chilometri, sul confine con il Friuli, nel comune di Erto e Casso, c’è un diga, in quel momento la diga più grande del mondo. La diga del Vajont. E quella sera una frana precipita nel bacino facendolo traboccare. Immaginate un sasso che cade in un bicchiere d’acqua.
Si crea così un’onda immensa, di 30 milioni di metri cubi di acqua, che scavalca la diga e si schianta su Longarone radendola al suolo. È stato stimato che l’onda d’urto dovuta allo spostamento d’aria fosse di intensità eguale, se non addirittura superiore, a quella generata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima.
Muoiono 1917 persone, tra cui 487 bambini. I soccorritori giorni dopo diranno di esser riusciti a mettere insieme mille bare con qualcosa dentro e quasi altrettante vuote. Mille bare con qualcosa dentro e quasi altrettante vuote.
La diga del Vajont fu costruita dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità) e poi passò di proprietà dell’ENEL. Fu costruita chiaramente per interessi economici, per guadagnare, per fare più soldini. Fu costruita nonostante molte persone del posto, avessero detto che lì, era meglio non costruire una diga… perché quel monte sopra di lei, il Monte Toc, era instabile, irrequieto. Avevano ragione. Ma gli “esperti” dell’epoca non presero in considerazione quelle voci di paese. E nemmeno gli avvertimenti e le denunce di una giornalista coraggiosa, Tina Merlin, che provò in tutti i modi ad anticipare la possibilità di una tragedia come quella che poi avvenne.
Dopo una serie interminabile di processi fu stabilito che i progettisti e i dirigenti occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico e nascosero i dati sulla pericolosità, il tutto con la complicità di enti sia locali che nazionali, compreso il Ministero dei lavori pubblici. La vicenda giudiziaria si concluse definitivamente nel 2000 ovvero 37 anni dopo il disastro, con un accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano al 33% ciascuno.
Una delle pagine più cupe e vergognose della storia italiana.
“Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria.”