Viaggio in Tibet: Kora del Monte Kailash
Questo è il riassunto di un viaggio molto particolare. Di un’esperienza tale che definire viaggio è riduttivo. Questo inoltre sarà un video-racconto, un filmato a cui io e mio padre stiamo lavorando da anni. Un progetto ambizioso, considerando la mole di lavoro, che ci ha messo in crisi più volte, ma che sappiamo ci darà grande soddisfazione. Speriamo di poterlo presentare a breve, ci siamo quasi… nel frattempo, ecco il testo e qualche foto. Benvenuti nella terra degli dei…
Ci sono montagne che sono soltanto montagne e ci sono montagne che hanno personalità. La personalità di una montagna non è soltanto una strana forma che la rende diversa dalle altre, proprio come un viso con una strana sagoma o azioni strane non fanno di un individuo una personalità. La personalità consiste nel potere di influenzare gli altri, e questo potere è dovuto alla risolutezza, all’armonia e alla focalizzazione su un punto del carattere. Se in un individuo queste qualità sono presenti nel loro massimo grado di perfezione, allora tale individuo è un potenziale leader dell’umanità, come governante, come pensatore oppure come santo, e lo riconosciamo come ricettacolo del potere divino. Se queste qualità sono presenti in una montagna la riconosciamo come un ricettacolo del potere cosmico, e la chiamiamo una montagna sacra. E’ così che al di sopra di tutte le montagne sacre del mondo si è diffusa la fama del monte Kailash e ha ispirato gli esseri umani fin dai tempi immemorabili. Non c’è altra montagna paragonabile al Kailash, poiché forma il punto centrale delle due più importanti civiltà antiche del mondo, le cui tradizioni sono rimaste intatte per migliaia di anni: l’India e la Cina. Sia per gli induisti che per i buddisti il Kailash è il centro dell’universo. E’ chiamato Meru o Semeru, secondo le più antiche tradizioni sanscrite, ed è considerato sia il centro fisico del mondo nonché quello metafisico. Esso forma la cuspide del “Tetto del mondo” come è chiamato l’altopiano tibetano, e irraggiandosi da esso, come i raggi dal mozzo di una ruota, alcuni poderosi fiumi iniziano il loro corso verso l’est, l’ovest, il nord-ovest e il sud. Questi fiumi sono il Bramaputra, l’Indo, il Sutlej e il Karnali. Tutti questi fiumi nascono nella regione del Kailash-Manasarovar, che forma la catena più alta dell’altopiano tibetano. (Lama Anagarika Govinda)
Questa l’agognata meta del nostro viaggio: il Monte Kailash, ”il Gioiello delle Nevi”. Partiamo dall’Italia in otto per effettuare la circumambulazione (kora) della montagna sacra con un itinerario che ci porterà in Tibet dopo aver percorso a piedi la valle dell’Humla in Nepal da poco aperta al flusso turistico. Dopo una breve sosta nella caotica Kathmandu con un volo di linea raggiungiamo Nepalganj, cittadina immersa in un caldo tratto della fascia di pianura nepalese che confina con l’India. Da qui con un piccolo aeroplano con volo a vista tra profonde valli ricoperte da foreste arriviamo a Simikot dove, per l’atterraggio, devono essere spostati gli animali che brucano l’erba sulla pista ricavata su di una conca in cima ad una collina.
L’atterraggio è da brivido ma il panorama e la bellezza del luogo ci fanno dimenticare alla svelta lo scampato pericolo. Qui troviamo lo staff fornitoci dall’agenzia nepalese che ci accompagnerà per tutto il nostro “pellegrinaggio”.
Dopo aver caricato i muli con i nostri bagagli, vettovaglie e tende finalmente ci incamminiamo. La partenza per un trekking è sempre un momento emozionante. La carovana di uomini e animali inizia il suo cammino. E’ un andare antico, arcaico a cui non si è più abituati. Passo dopo passo ognuno con la propria andatura e con i propri pensieri cominciamo a costeggiare, con un susseguirsi di saliscendi, il fiume Karnali che scende dal Tibet. Attraversiamo villaggi di straordinaria bellezza abitati da minoranze etniche bothia (termine indiano per indicare i tibetani), piccoli “gompa” e monasteri in un’alternanza di coltivazioni a terrazza d’orzo e miglio. Incrociamo in continuazione carovane di pecore e capre con il loro carico di salgemma provenienti dal Tibet. Fin dall’antichità questa valle è stata usata per il reciproco scambio di mercanzie fra il Tibet e il Nepal.
Dopo una settimana, percorsi un centinaio di chilometri raggiungiamo il passo Nara La (4.600 m) da cui lo sguardo spazia sull’immenso altopiano tibetano. Il panorama fantastico e la mancanza d’ossigeno per la quota elevata ci tolgono letteralmente il fiato. Perdiamo velocemente quota e raggiungiamo il villaggio di Hilsa bagnato dalle cristalline acque del Karnali. Qui dopo aver pagato la “tassa di transito” (100 dollari) alla resistenza maoista ed esplicato le formalità doganali con la polizia cinese, entriamo in Tibet. Lasciamo a malincuore la nostra carovana e trasbordiamo attrezzatura e bagagli su tre fuoristrada Toyota che in due giorni ci porteranno ai laghi sacri Manasarovar e Rakastal al cospetto del Kailash.
Scrive Lama Anagarika Govinda:
Poche ore dopo aver lasciato il passo Gurla, il pellegrino raggiunge il lago Manasarovar e sperimenta la gloria del primo tramonto del Gioiello delle Nevi sulle acque sacre. Mentre il Kailash scompare dietro un cappuccio di nuvole multiformi, i laghi sacri diventano il centro esclusivo dell’attenzione del pellegrino. Egli non può smettere di ammirare il loro azzurro raggiante e di meravigliarsi per lo strano gioco della natura che sembra impressionarlo con tutti i simboli della tradizione antica: dietro di lui la Montagna della svastica (il Gurla Mandata 7780 m) simbolo dell’eterna facoltà creatrice, di fronte a lui i due laghi, il Rakastal (il lago delle divinità irate delle tenebre) che appare a sinistra sotto forma di una luna crescente, mentre la forma rotonda del Manasarovar, a destra, ricorda quella del sole (il Signore del giorno e la divinità pacifica della luce). Questa combinazione di segni è uno dei simboli favoriti dei tibetani.
Sulle rive dalle sabbie dorate del lago ci accampiamo per due giorni per dar modo al nostro fisico di acclimatarsi all’alta quota (4500 m) e alla mente e allo spirito di purificarsi. I panorami sono superbi: sulla sponda sud orientale si erge il massiccio glaciale del Gurla Mandata che sfiora i 7780 metri di quota e a nord ovest si ammira la cuspide del monte sacro, i colori delle vaste acque purissime sono esaltati dall’aria tersa e continuano a variare dal blu intenso, al turchese, allo zaffiro. I monasteri del Manasarovar sono sorti come semplici luoghi di ritiro nei punti in cui hanno soggiornato dei grandi mistici (Millarepa) ed emanano un’aura intensa.
A malincuore lasciamo questi laghi carichi di energia e proseguiamo verso il villaggio di Darchen punto di partenza per il “kora” del Kailash. Il monte è venerato in oriente come il punto di congiunzione tra la dimensione del mondo umano e le sfere pure degli esseri superiori. Ogni religione concepisce questo luogo con riferimento alle proprie simbologie e visioni cosmologiche. Per gli induisti è il trono di Shiva, per i Jainisti di Tithankara, per i Bon quello di Tonpa Shenrab e per i buddisti tibetani della forma buddica di Chakrasamvara, espressione della chiara luce della mente onnisciente. Tutti i pellegrini che compiono con devozione la circuambulazione del monte (kora) ritengono, grazie alla particolare connessione che questo luogo avrebbe con i piani di esistenza puri, di ottenere una profonda purificazione del proprio karma. La tradizione dice che se una persona riuscisse ad eseguire in una vita 108 kora in modo corretto conseguirebbe la completa purificazione di tutte le negatività accumulate nel corso del proprio incommensurabile ciclo di trasmigrazione.
Il sentiero che segue il circuito attorno al monte Kailash parte da Darchen ed è lungo circa 54 chilometri. Lo si percorre in senso orario e gradatamente si sale fino ai 5600 m del passo Dolma. Lungo il percorso il cuore si riempie di commozione quando incontriamo anziane donne tibetane o dei bimbi che senza porsi troppi problemi avanzano con calma recitando dei mantra (preghiere).
Incrociamo poi dei temerari che eseguono il kora con le prostrazioni impiegando settimane per completare il circuito. E’ un susseguirsi di luoghi legati a storia, miti e leggende, ed anche piccoli monasteri: l’insieme rende il sentiero decisamente unico al mondo. Salendo verso il passo di Dolma si transita da alcuni laghetti e da un punto dove i pellegrini usano lasciare qualcosa di personale: solitamente vestiti o ciocche di capelli per significare l’abbandono del peso del proprio karma e delle negatività del passato. Dal Dolma, dove un’infinità di bandiere di preghiera sventolano al vento e non si vede più la vetta del Kailash, scendiamo rapidamente passando accanto al laghetto di Tara dove alcuni rari pellegrini induisti eseguono un’abluzione nell’acqua gelida a circa 5500 metri di altezza. Poi raggiungiamo le dolci pasture della valle sottostante dove troviamo mandrie di yak al pascolo. Da qui velocemente al monastero di Zutrulpuk costruito sul luogo dove venne a meditare Millarepa.
Racconta Lama Govinda:
Mentre si inerpica su per l’alto passo di Dolma, che separa la valle settentrionale da quella orientale, il pellegrino giunge al luogo da cui può scorgere lo Specchio del Re della morte (Yama), nel quale si riflettono tutte le sue azioni del passato. In questo luogo egli giace fra due enormi macigni nella posizione di un morto. Chiude gli occhi e affronta il giudizio di Yama, il giudizio della sua coscienza nel ricordo delle sue azioni precedenti. E con esse egli ricorda tutti coloro che gli furono cari e sono morti prima di lui, tutti coloro il cui amore non è stato in grado di ripagare; e prega per la loro felicità in qualunque forma possano essere rinati. E come pegno di ciò lascia piccole reliquie dei loro giorni terreni in questo luogo consacrato, un pezzetto di vestito, una ciocca di capelli, un pizzico di cenere della pira funeraria, o qualsiasi altra cosa abbia potuto conservare per questo ultimo servigio all’amato defunto. Mentre sperimenta tutte queste meraviglie il pellegrino lascia il luogo sacro essendo tutto il suo essere in uno stato di estasi e di trasformazione. Dopo essersi riconciliato in tal modo con il passato e aver attraversato i cancelli della morte, egli attraversa la soglia della sua nuova vita sul passo innevato della onni-misericordia madre Dolma. Adesso ha superato l’ultima prova e con essa tutte le ansie e le avversità.
Un vento freddo e pungente ci accompagna verso l’ultimo tratto del nostro cammino.
Alla fine della valle le nostre Toyota ci aspettano. Gli yak vengono alleggeriti dai nostri bagagli e i due tibetani che ci hanno accompagnato fin qui con i loro poderosi animali si allontanano salutandoci calorosamente. Scavalchiamo l’Himalaya al passo di Lalung (5200 m), dove le vaste pendici dello Shisha Pangma (8050 m) dominano la vista a sud ovest. Poi raggiungiamo il confi ne di Kodari e attraverso “il ponte dell’amicizia” rientriamo in Nepal e in poche ore a Kathmandu.
Così conclude Lama Anagarika Govinda:
I pellegrini ritornano al loro paese con occhi luminosi, arricchiti da un’esperienza che per tutta la loro vita sarà una fonte di forza e di ispirazione, perché sono stati faccia a faccia con L’Eterno, hanno visto la Terra degli Dei.
foto e testo di Andrea Gracis