Gira per il web un sonetto in romanesco molto divertente firmato Giuseppe Gioachino Belli, noto poeta italiano vissuto a Roma dal 1791 al 1863. Ovviamente si tratta di uno scherzo: si segnala l’incredibile attualità dello scritto, ma in realtà quando Belli scriveva l’Italia era ancora un sogno da realizzare e non c’erano ancora atenei che vedevano partire i “cervelli” per altre nazioni.
Ma certo erano tempi brutti anche i suoi: tempi terribili, corrotti e oscuri, su cui nei suoi sonetti fa parlare i romani, col loro dialetto così colorito e denso di significati.

Ecco il sonetto in questione, che sicuramente Belli avrebbe apprezzato…

Mentre ch’er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che so’ finiti li mijioni
pe turà un deficì de la Madonna

Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l’atenei nun c’hanno più quatrini
pe’ la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi

Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni so’ sempre ppiù basse

Una luce s’è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano
A noi ce sarveranno le mignotte