– Sebastian che regalo vorresti per il tuo undicesimo compleanno?
– Il regalo più bello del mondo papà!
– Ok. Ti porto a vedere l’India. Andiamo.

E così eccoci qui, da qualche giorno, in quello che a breve diventerà lo stato più popoloso del pianeta. Ci torno dopo trent’anni e con immenso piacere posso dire che… l’India è ancora India. E questa è la cosa più importante, più rincuorante, più entusiasmante.
Si perché in un mondo in cui il mostro globalizzazione ha appiattito luoghi, culture e sentimenti, qui tutto questo è resistito e continua a pulsare nella sua totale e splendida unicità. Tra miseria e meraviglia, in un mosaico infinito di contraddizioni incomprensibili.

C’è qualcosa di magico in questo Paese, qualcosa che non si può descrivere con le parole. Sto posto ti prende l’anima al primo giro di risciò e la mette dentro un frullatore insieme alle sue luci, i suoi odori, i suoi sguardi e poi ti risputa fuori completamente trasformato. Ti fa sentire pesante come un elefante e allo stesso tempo leggero come un aquilone, ti stordisce, ti travolge. C’è così tanta umanità in queste strade che ho l’impressione di poterla vedere anche senza occhi, di poterla sentire anche senza orecchie, di poterla toccare anche senza mani. Ti entra dentro nel profondo con la forza di un pugno nello stomaco e la grazia di una carezza. Un giorno qui vale come un mese altrove, qui la vita si dilata e cresce di intensità.

Mi sento in soggezione a scrivere dell’India. Non credo di esserne all’altezza.
Ora la guardo scorrere dal finestrino di un treno: 12 ore per percorrere 600 km e vorrei andare ancora più lento, vorrei ci mettesse ancora più tempo, vorrei fermare questo momento.

La fuori c’è un mondo sempre più finto, sempre più fatto di plastica, sempre più disumano.
Ma l’India è più forte, l’India è più grande. L’India è ancora India