Non c’è nulla di più sfuggevole della felicità.
Coloro i quali hanno la fortuna o il merito, comunque sia il privilegio di esser da essa omaggiati – che sia spesso o di rado – non sono in grado di conservarla per più di qualche istante, qualche minuto o al massimo, nei casi più eccezionali qualche ora. Anche perché viviamo in una società e un sistema in cui sembra vietato concedersi – anche essendocene magari la possibilità – troppo tempo con lei. Quasi fosse nociva!
Siamo costantemente sotto attacco, perché evidentemente chi muove i fili di questo mondo ci preferisce timorosi, preoccupati e infelici piuttosto che impavidi, gioiosi e spensierati.

E allora non resta che a noi stessi decidere con consapevolezza ed estrema lucidità la strada che vogliamo percorrere. Personalmente – da tempo e senza indugi – ho scelto quella che mi vede padrone del mio destino, quella meno battuta e sicuramente con più incognite. Una strada che non può essere compromessa in alcun modo – o per lo meno l’obiettivo è quello – da accadimenti esterni. Naturalmente ciò non basta a garantire una felicità costante – anche perché come detto tale non può essere – ma perlomeno stabilisce come la cosa dipenda esclusivamente dal sottoscritto e non da altri.

Il passaggio successivo – a rigor di logica – è quello di abbandonare la rincorsa ossessiva e utopistica a un’emozione così fugace per dedicarsi con passione, dedizione ed entusiasmo a quel termine che Vito Mancuso, nel suo splendido libro “Il coraggio di essere liberi” identifica con letizia: “una gioia tranquilla, che scaturisce dall’aver detto sì a qualcosa più grande, dall’adesione della libertà a un orizzonte più vasto e più importante, solitamente chiamato verità, giustizia, amore, bellezza, bene, sommo bene.”

E allora, letizia sia!