La democrazia è quella cosa che… sei imbecilli contano più di quattro intelligenti. (Leo Longanesi)

C’avete mai pensato? Io parecchio ed è uno dei motivi per cui non sono mai stato un grande sostenitore di questo sistema politico.

E allora sei per la dittatura? Per la monarchia? Per i regimi?

Assolutamente no, ma vedete, non esistono solo queste soluzioni, ce ne sono altre, è che non si conoscono.

Avete mai sentito parlare di… EPISTOCRAZIA? Molto probabilmente no, perché all’interno di questa parola si cela una riflessione scomoda quanto necessaria sul nostro sistema di governo: la democrazia appunto. Già, la sacra, intoccabile, santificata democrazia. Quella per cui si combatte, si muore, si manifesta e si vota. Quella che ci viene insegnata sin da bambini come “il migliore dei mondi possibili“. Ma siete proprio sicuri che sia davvero così? O meglio, siete sicuri che sia la più giusta, la più efficace, la più razionale forma di governo oggi praticabile? Ecco, l’epistocrazia nasce proprio da questa domanda.

Il termine deriva dal greco “episteme” ovvero conoscenza e “kratos” ovvero potere: letteralmente, il potere a chi sa.

L’idea alla base è semplice e al tempo stesso rivoluzionaria (quasi eretica di questi tempi): non tutti dovrebbero avere lo stesso peso decisionale quando si tratta di scelte politiche, economiche o sociali. In un’epistocrazia, il diritto di voto o comunque l’influenza politica sarebbe proporzionata al livello di conoscenza, competenza o consapevolezza dell’individuo.

Fermi là. So cosa state pensando: Ma questo è inaccettabile! È una discriminazione! Una nuova forma di aristocrazia mascherata!

Calma. Non si tratta di costruire un regime di intellettuali o di lasciare il potere nelle mani di una casta privilegiata. Il punto non è creare un club esclusivo, ma ripensare la responsabilità con cui oggi, in massa, decidiamo il futuro collettivo.
In una società dove per ottenere la patente serve studiare, superare esami teorici e pratici, dove per operare una persona serve una laurea in medicina, dove per gestire una macchina aziendale bisogna dimostrare competenze, l’unica cosa che richiede zero preparazione è scegliere chi governa uno Stato. E al tempo stesso, governarlo. Vi sembra logico?

Jason Brennan, filosofo politico statunitense e principale promotore dell’epistocrazia contemporanea, parla apertamente della “tirannia dell’ignoranza“. Secondo Brennan, gran parte degli elettori non solo non ha le conoscenze minime per valutare le proposte politiche, ma spesso vota spinta da emozioni, slogan, paure e fake news. Qualcuno vuole forse provare a sostenere che non sia così?
C’è chi vota un partito perché ha promesso il bonus per i monopattini, chi sceglie il leader più simpatico in TV, chi si affida alla voce del proprio influencer di fiducia su Facebook.

Il problema è che ogni voto conta allo stesso modo. E così, l’opinione di un luminare vale quanto quella di chi non si perde una puntata del Grande Fratello. La valutazione di uno studioso di geopolitica pesa quanto l’istinto di chi si informa con Novella 2000.

Certo, è giusto ascoltare tutti. Ma è giusto che tutti decidano allo stesso modo su questioni complesse, quando non hanno le stesse competenze? Ti affideresti a una gruppo di sconosciuti e molto probabilamente incompetenti per un’operazione chirurgica a cuore aperto? Non penso. E allora perché accettiamo che chiunque possa decidere su sanità, economia, scuola, energia, sicurezza, eccetera? I disastri causati da governi composti da ciarlatani allo sbaraglio li vediamo ogni giorno, o sbaglio?

La democrazia, nella sua accezione più pura, nasce come governo del popolo. Ma attenzione: il “popolo” di Atene non era tutta la popolazione. Votavano solo gli uomini liberi, alfabetizzati, e cittadini attivi. Niente schiavi, niente ignoranti e niente donne (esclusione manco a dirlo deprecabile ma per loro aveva un senso dal momento che erano escluse anche dalla possibilità di emanciparsi). Certo non un modello perfetto e con enormi criticità ma già allora, 2.500 anni fa, c’era l’idea che il potere decisionale non dovesse essere nelle mani di tutti.

Oggi invece siamo arrivati all’estremo opposto: il culto del suffragio universale, dove l’atto del votare è sacro a prescindere dalla preparazione dell’elettore. Anzi, guai a metterlo in discussione: si viene subito tacciati di fascismo, razzismo, elitismo o qualche altra etichetta coniata ad hoc per chi osa ragionare fuori dal coro. E che qualcuno di voi, nonostante le mie premesse, ora sta attaccando addosso anche a me.

Eppure, non è proprio questo il momento di porci domande più profonde o scomode? Abbiamo milioni di cittadini che votano mossi dalla rabbia, dalla paura, dalla propaganda. Cittadini che spesso non sanno neanche scrivere in italiano corretto una frase da terza elementare per non parlare della comprensione di concetti anche molto banali. Vi ricordo che in questo Paese il 35% degli adulti è analfabeta funzionale… e fra qualche anno faremo i conti con le nuove generazioni cresciute a pane e Tik Tok. Tanti auguri.

In un mondo ideale, il diritto al voto dovrebbe essere anche un dovere. Un dovere di informarsi, di comprendere, di approfondire. L’epistocrazia non dice “vota solo chi ha un dottorato”. Dice: creiamo meccanismi per garantire che chi vota abbia almeno un’infarinatura di base dei temi in questione. Una sorta di quiz civico, un test sulle politiche pubbliche, una prova di comprensione costituzionale. Una patente di voto. Qualcosa di semplice, ma significativo.

E no, non sarebbe un’esclusione crudele, ma una forma di rispetto verso le stesse istituzioni democratiche. Perché se la democrazia significa decidere insieme, allora è fondamentale che tutti sappiano almeno cosa stanno decidendo.
Un cittadino che non sa nulla di economia e che vota per un programma economico fallimentare, mette a rischio non solo se stesso ma l’intera collettività. Per non parlare di politiche estere che riguardano guerre e conflitti.
Un elettore disinformato è come un passeggero che vota per mettere al comando dell’aereo un improvvisato: pericoloso, irresponsabile e folle.

Certo, nessun sistema è perfetto. Nemmeno l’epistocrazia. I criteri di valutazione delle competenze dovrebbero essere oggettivi, trasparenti e accessibili. Bisognerebbe evitare derive tecnocratiche e garantire pluralismo.
Ma l’alternativa qual è? Continuare a eleggere clown televisivi, populisti da social network, burattini in giacca e cravatta che sanno solo cavalcare l’onda del malcontento o intascare mazzette di qualche lobby?

Jean Jacques Rousseau, filosofo geniale del ‘700, diceva: La Democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi.

Avete presente?

Il vero rischio non è l’epistocrazia. Il vero rischio è una democrazia in mano all’ignoranza di massa. Ovvero esattamente quella a cui stiamo assistendo adesso, in tutto l’Occidente. Una democrazia senza anticorpi, dove chi urla più forte prende tutto. Dove si confonde il consenso con la competenza, l’apparenza con la sostanza, la maggioranza con la verità.
Non sto dicendo che dovremmo cancellare la democrazia. Sto dicendo che dovremmo evolverla. Raffinarla. Rafforzarla.

L’epistocrazia può essere un modo per stimolare un nuovo senso di responsabilità civica. Per ricordarci che la libertà ha un prezzo: lo sforzo di pensare. Di studiare. Di capire.
Oggi invece tutto viene semplificato, ridotto, banalizzato. Tweet, meme, slogan, video di 15 secondi. La politica è diventata showbiz, il dibattito pubblico è ridotto a tifo da stadio. Se provi a dire qualcosa di complesso, ti accusano di fare il saputello. Se inviti alla riflessione, ti dicono che sei snob. Se proponi alternative, sei un pazzo o chissà cos’altro.
Ma io lo dico lo stesso: la conoscenza conta. La competenza conta. E anche il coraggio di mettere in discussione dogmi considerati intoccabili conta.

Se davvero vogliamo una società più giusta, più equa, più libera, dobbiamo iniziare a fare domande scomode. E forse la più scomoda di tutte è questa: perché continuiamo a difendere a spada tratta un sistema che produce risultati sempre più scadenti?

L’epistocrazia non è la bacchetta magica, ma è una provocazione utile. Un invito a ripensare il concetto stesso di partecipazione. Non tutti allo stesso modo, ma tutti con lo stesso impegno. Non un voto uguale per tutti, ma una responsabilità condivisa da chi è disposto a capire, a studiare, a mettersi in gioco davvero.

Forse è arrivato il momento di iniziare a costruire una democrazia adulta, consapevole, informata. Una democrazia… epistocratica.

p.s. Per ulteriori approfondimenti consiglio il sito www.epistocrazia.it