Io piango. Di norma non mi capita spesso. Per anni non mi è successo. Quando si diventa adulti è normale mettersi addosso una corazza, chiudere a lucchetto quelle zone più sensibili di noi o costruire muri intorno certi lati del nostro carattere. Quante cose che perdiamo così senza nemmeno rendercene conto.
Ma non è colpa nostra. Fin da bambini ci insegnano ad “essere forti”, a non mostrare le nostre debolezze e addirittura a considerare la fragilità un difetto. Nulla di più sbagliato!

Siamo poi sommersi, letteralmente bombardati, giorno e notte, 24 ore su 24, da esempi di persone sempre sulla cresta dell’onda, sempre al top, in perfetta forma, denti bianchi scintillanti e soprattutto sempre con uno splendido sorriso sulle labbra. Poco importa quali siano i filtri utilizzati o i retro scena, l’importante è il risultato finale. Questi sono i modelli della nostra società. E in un modo o nell’altro ci ritroviamo un po’ tutti ad esserne vittime e complici allo stesso tempo. Anche in questo caso, spesso senza accorgercene.
Sarà un qualche particolare allineamento dei pianeti, sarà che sto invecchiando, sarà che i miei figli crescono e mi obbligano a pormi domande, ad affrontare continue sfide, sarà che anch’io a furia di sbatterci la testa mi sto un po’ ammorbidendo, saranno tutti questi motivi messi insieme o altri che ora mi sfuggono, fatto sta che ultimamente piango con molta più facilità di un tempo.

L’ho notato il 18 maggio dell’anno scorso, il giorno che Franco Battiato ha lasciato il suo corpo. Non mi facevo un pianto del genere da decenni! E per giorni mi sono sentito in bilico, come se la lacrima partisse da un momento all’altro. In quel caso il mio non era un pianto di dolore o sofferenza ma al contrario, di profonda gratitudine, di affetto, di amore.

Già perché poi c’è questa malsana convinzione che accomuna il piangere con lo stare male. Ma perché mai?! Nel mio caso sono le gioie e le emozioni positive più intense a smuovere dentro grandi cose fino a rendermi gli occhi lucidi e oltre. Siamo noi che nella nostra follia quotidiana facciamo di tutto per reprimere, per tenere dentro, per nascondere. Tanto da arrivare al punto di cementificare quel magma umano che ci rende così unici e speciali e che invece dovremmo valorizzare con tutte le nostre forze. E così mi è capitato di piangere ancora, nei mesi scorsi, quasi sempre in solitudine e mai per motivi particolarmente rilevanti né tanto meno drammatici. Di nuovo qualche giorno fa, guardando un film che tra l’altro conosco quasi a memoria e che altre volte non mi ha commosso, ma evidentemente ora c’è un qualche canale aperto, qualche crepa nel muro, o meglio, qualche finestra.

Ho sempre voluto essere imperturbabile credendo erroneamente che questo significasse essere “tutto d’un pezzo”. Mi sbagliavo. Ora credo che l’imperturbabilità possa e debba contemplare comunque anche la nostra sensibilità e lasciarle tutto lo spazio di cui necessita per esprimersi, anche attraverso la commozione. Le due cose possono convivere e alimentarsi a vicenda.
Oggi piango ascoltando le note di una canzone, guardando un orizzonte lontano o una candela che danza, piango immergendomi in ricordi preziosi, immedesimandomi negli altri, immaginando un mondo più giusto.

Piango e non faccio nulla per evitarlo. Perché sapete cosa? Sono convinto non ci sia nulla di male. Nulla di cui vergognarsi. Nulla da nascondere. Anzi. Non vivessimo tempi così sintetici, asettici e superficiali, non ci sarebbe nemmeno bisogno di sottolinearlo. Sarebbe normale. E invece ne sento l’esigenza, voglio dirlo pubblicamente e rivendicarlo! Si, io piango.